Toppe del Tesoro e M.Pratello, le montagne degli sciatori

Un sabato particolare per Aria Sottile, un sabato in cui tre uscite distinte hanno sparpagliato sugli Appennini quasi l’intero Gruppo. Max con Gaetano a spasso a pochi chilometri dal mare sugli Ausoni alla ricerca di panorami insoliti, Luca e Federico ormai lanciatissimi verso imprese verticali si mettevano alla prova sulla vetta orientale del Gran Sasso, poi raggiungeranno anche la Centrale sorprendendo forse anche loro stessi mentre io e Giorgio ci siamo andati a prendere quel pezzo di territorio a noi sconosciuto tra il parco e la Majella. L’idea è nata in Giorgio che ha proposto il Rotella, monte affacciato sul Morrone che si erge solitario tra il piano delle Cinque Miglia ed il Morrone stesso e poi dietro mio suggerimento convertita nell’accoppiata Toppe del Tesoro, Monte Pratello. L’idea era quella di andare a conoscere un pezzo di territorio a noi sconosciuto accoppiandola con la doppietta di questi due monti all’apparenza inutili e non interessanti dominati dalla presenza degli impianti sciistici della località Aremogna. Come dire che dal momento che non rappresentavano alcun interesse ma che nella lista ormai triste e famosa del Club 2000 comparivano, prima ce li saremmo tolti di mezzo prima ci saremmo archiviati la pratica. Il percorso da compiere era corto, il viaggio di avvicinamento era lungo, l’uscita in autostrada a Sulmona sembrava dall’altra parte del mondo per cui la sveglia ce la siamo data comunque alla solita ora presta. L’appuntamento alle 4 e 20 sotto casa mia per poter prendere all’ora convenuta Andrej e Gregorio che si sono aggiunti all’ultimo momento. Attraversiamo velocemente una Roma neanche troppo deserta buttando il naso ogni tanto all’insù preoccupati dalla presenza di nubi non meglio quantificabili; è notte fonda anche quando siamo in autostrada, inutile perlustrare il cielo alla ricerca di qualche viatico per la giornata. Tra chiacchiere e penniche di chi stava dietro arriviamo in nemmeno troppo tempo a Sulmona; i cartelli stradali per Roccaraso che dobbiamo seguire ci accompagnano senza indugi ad abbandonare la valle e a salire gradualmente verso il Piano delle Cinque Miglia. Impressionante nel nome e nei fatti questa fettuccia interminabile di strada. Diritta che di più non si può, con gli alberi ai lati che dettano il passare dei metri; una vera tentazione a chiudere le palpebre per chi si è alzato alle 3 e 20 di mattina. Saliamo gradualmente di quota in una atmosfera ancora a metà tra un’alba nascente ed un cielo grigio di nubi dense, speranzosi che sia solo la densa coltre di valle di questi periodi pre autunnali. L’indicazione per Aremogna ci dice che quasi ci siamo; un cartello invita ad andar piano, strada di montagna dice. Cominciamo a guardarci intorno nella speranza di cogliere i nostri monti della giornata. Gli impianti di risalita davanti a noi indicano le piste del Monte Pratello, ma quello che abbiamo davanti è solo un muro di alberi che si perde nelle nuvole qualche centinaio di metri più in alto; niente di buono ma facciamo finta di niente. Continuiamo per la località Aremogna e da lontano un orribile albergo di dieci piani, lungo centocinquanta metri ci proietta in uno scenario che stride con gli scenari che abbiamo intorno. Capisco la necessità del turismo, l’esigenza dell’economia e che la montagna deve appartenere a tutti ma questa stazione è uno scempio di cubi di cemento disseminati nel territorio. Perché mi chiedo a parità di urbanizzazione di un territorio di montagna, accettando qualsiasi compromesso tra natura ed economia non si debbano fare delle scelte più armoniche con l’ambiente che ci circonda? Arriviamo su, alla fine della strada e nel deserto più assoluto in un posto ignobile e freddo, dominato da asfalto e cemento a pochi metri domina un bosco ormai acceso dai colori autunnali; non rimaneva che aspettare lo spuntare del sole per dare fuoco a quei colori. Ognuno armeggia con i preparativi, io sono sempre l’ultimo; alle 7 e 10 partiamo verso la montagna alle nostre spalle. Non può che essere Toppe del Tesoro; gli impianti ne prendono il nome e per salire non possiamo che prendere quella larga autostrada che presto sarà piena di furiosi sciatori. Prendiamo a salire nel sentiero più largo che abbiamo mai battuto proprio quando il sole esce dalle nuvole e infiamma i boschi e le creste davanti a noi. Il rosso è furioso, domina le rocce delle montagne e rende i boschi incandescenti. Ci stupiamo di come queste montagne così bistrattate focalizzino il nostro entusiasmo. Le foto non basteranno di certo ad immortalare il momento ma ne scattiamo tantissime; procediamo lentamemente tanto siamo attratti dallo spettacolo che ci si para davanti. Ogni volta che ci voltiamo i colori sono diversi; che bello, che meraviglia. Saliamo fino alla prima spalla delle Toppe del Tesoro, girando sulla sinistra ed intorno al bosco, gradualmente fino a che un altro spettacolo ci cattura. Un mare agitato di nuvole sotto di noi, verso est; solo la Majella ed il Rotella spuntano dal mare come enormi scogli e l’esile cresta del Porrara è solo una lama che taglia la coltre di bianchi batuffoli. Il sole è accecante ormai ed il cielo turchese; ciò che sembrava prospettarsi come una dubbia giornata si stava manifestando piena di spettacoli suggestivi ed ancora le creste erano lassù! Riprendiamo a salire ancora ed ancora sulla pista da sci che cavalca la cresta sud del monte fino a scoprire le montagne del versante ovest. Una bella montagna su in cima domina il vallone davanti a noi e lunghe creste invitano lo sguardo a viaggiare; è il Greco, paradossalmente è la prima volta che lo vedo. E le lunghe creste a nord del Greco sono le Serre di Gravare e di Rocca Chiarano; tanto anonime queste montagne ad Ovest, viste dal Passo Godi quanto entusiasmanti ad est tra conche glaciali e creste a precipizio. E per arrivare, in mezzo tra noi e queste montagne, una valle dolce, poco profonda che immediatamente ci ha dato il la a modificare il progetto. Alle 8 e 20 siamo in cima alle Toppe del Tesoro, la vetta è dominata dall’arrivo della cabinovia e per dare senso ci spostiamo verso ovest per affacciarci su una delle tante cime secondarie della montagna. La scegliamo come vetta nobile per la testimonianza fotografica di prassi ma di certo si tratta del balcome più bello ed in vista verso le lunghe dorsali che avevamo di fronte. Era difficile resistere alla tentazione di non addentrarsi nel territorio, di buttarsi a cavalcare quelle lunghe dorsali. Andrej è sempre poco propenso alle variazioni ma sono i tempi ristretti di Giorgio che ci fanno desistere dal tentare la sortita. Anche un vento teso fattosi più freddo ci spinge a velocizzare le operazioni delle foto; riprendiamo nei pratoni di altura verso ovest e verso il Pratello; un omone di un’altra cima secondaria delle Toppe ci da lo spunto per altre foto verso l’emergente isolotto della Majella. Il Pratello è li sotto, accerchiato da piste e strade di servizio degli impianti, ma non danno fastidio; lo spettacolo è immenso. Verso nord individuiamo il Genzana che spunta appena dalle nuvole, e li sotto sappiamo esserci Scanno e il suo lago; come è bello conoscere il territorio. E soprattutto, come ormai sempre capita, che sorpresa è la montagna, anche questa!! Così deturpata dalle piste di sci, così invasa da pilastri di acciaio e così poco montagna con i suoi pendii dolci eppure così centrale nel parco degli Appennini del Sud dell’Abruzzo e così incredibilmente panoramica . Dal Monte Mare e le creste delle Mainarde al vicinissimo Greco s Serre di Chiarano e Gravare, il Genzana, il Rotella, il Morrone , la Majella e il Porrara. Chi se lo sarebbe mai aspettato? Una strada di servizio ci conduce dolcemente al Pratello dove gli scempi delle piste sono ancora più deturpanti; un altro impianto di risalita a pochi metri dalla vetta e , lì accanto all’enorme e brutta croce appoggiata su un pilastro sproporzionato, lì a davvero 3 metri dalla croce una antenna ripetitore di chissà quale segnale telefonico!! Facciamo fatica anche a scattarci le foto, scappiamo. Solo un bell’affaccio sulla Majella salva questo monte. Il resto del percorso è solo un tracciato piatto, poi una pista larghissima; e alla fine solo l’attraversamento del bosco incantato pieno dei mille colori dell’autunno ha nobilitato la fine del tracciato. Alle 11 e 45 siamo di nuovo alla macchina, poco stanchi, felici a metà ma comunque contenti di aver scoperto un altro angolo di Appennino. Sicuri anche che quello appena conosciuto sarà, in un futuro forse non troppo lontano, il trampolino naturale di lancio verso la conquista e, chissà, la traversata verso il passo Godi con tutte le sue vette e creste la in mezzo.